L’ABBANDONO DELL’ATTIVITÀ DA PARTE DEI GIOVANI – PROF. ENZO D’ARCANGELO
giu 22nd, 2020 | By coni | Category: News UNVS, Primo piano, Vivere lo SportE’ attualmente Presidente della Polisportiva G.Castello. Autore di numerose pubblicazioni sullo sport, tra cui le più recenti i libri “Il Miracolo Volley” (2018) e “Il Campionato più bello del mondo; analisi statistica della Superlega 2018-19”, editi ambedue da Calzetti&Mariucci, e la monografia “In ricordo di Adolfo Consolini: palmares, risultati e analisi statistiche” pubblicato su Atletica Studi, Fidal, 2019/4; Premio “Best Sport Manager” del C.R. CONI Lazio nel 2012. Ha ricevuto dal C. R. Fipav Lazio il Premio “P. Milita”, per l’anno 2018. Ha ricevuto dal CONI l’onorificenza della Stella d’Argento al merito sportivo, per l’anno 2018, dopo aver ottenuto quella di bronzo nell’anno 2006.
Articolo di Gazzetta Regionale
L’INTERVISTA A GAZZETTA REGIONALE
Tra incarichi, cattedre, pubblicazioni scientifiche e didattiche, servono sei pagine fitte per raccontare l’apporto del Professor Enzo D’Arcangelo. Un luminare della statistica che ha collaborato con ISTAT, CONI e diverse Federazioni italiane raccogliendo e spiegando i dati riguardanti la pratica sportiva in Italia. Uno dei temi su cui si è concentrato di più negli ultimi anni è l’abbandono dell’attività da parte dei giovani, toccando un argomento troppo spesso sottovalutato in termini sociali. “Riaprire subito scuole e centri sportivi, senza lasciare sole le società sportive”. La sua è una visione in controtendenza, che aveva spiazzato anche chi scrive, ma argomentata in modo tale da essere più che convincente e in grado di fornire al mondo dello sport una possibile via d’uscita dalla drammatica crisi economica causata dalla pandemia.
D’Arcangelo lei ha realizzato una ricerca sull’abbandono dello sport da parte dei giovani, quali dati sono emersi?
“Ne ho realizzate diverse, prima per l’ISTAT, poi altre sull’atletica leggera e infine quella sulla pallavolo, ripresa anche dalla FIGC. Sicuramente quella sui tesserati della FIPAV, pubblicata per intero nel volume ‘Il Miracolo Volley’ del 2018, è la più completa. E’ partito tutto dalla tesi di Luca Lupo, un mio bravissimo studente che gioca in Serie B di Pallavolo. Abbiamo preso in esame la coorte di tutti i tesserati per la prima volta alla FIPAV sotto i 13 anni, maschi e femmine, nella stagione 2000-2001 e li abbiamo seguiti fino al 2016 per 16 anni. Parliamo di un collettivo di ben 64.775 giovani di cui 54.987 femmine (84.9%) e 9.788 maschi (il 15.1%) e abbiamo scoperto che dopo tre anni i due terzi aveva già smesso: solo 22.366 atleti (il 34.5%) erano ancora tesserati, un dato preoccupante. Già dopo il primo anno si erano persi 27.297 giovani (il 42.1%), a cui vanno aggiunti i 9.528 del secondo anno (il 14.7%) e i 5.584 del terzo (8.6%). Dopo 5 anni erano ancora tesserati per la FIPAV il 22.7% del collettivo in esame, valore ridotto a 8.4% dopo 10 anni. Oggi gli adolescenti cambiano spesso disciplina, il calcio è quello che dura di più. In questo continuo cambiamento aumenta il rischio di abbandono, considerate che tra gli atleti monitorati c’era anche un certo Ivan Zaytsev, che ha lasciato un anno per poi tornare. Quello del ritorno all’attività è un fenomeno molto raro, per nostra fortuna il capitano della nostra Nazionale ha deciso di farlo”.
Al termine della ricerca quanti atleti erano ancora attivi?
“Solamente 2.313 atleti, il 3,6%, di cui 461 maschi (il 4.7%) e 1.852 femmine (il 3.4%): di questi 331 hanno militato nei campionati nazionali FIPAV (A1, A2,B1, B2) e 25 nella stagione 2015-16 giocavano in serie A1 (13 maschi e 12 femmine). Diversi hanno raggiunto le nazionali giovanili e assolute tra cui Ivan Zaytsev e Filippo Lanza su tutti. Non sono pochi, però sono costati moltissimo in termini di fidelizzazione se si rapporta al numero di anni che sono serviti per formarli”.
Quali sono le principali dinamiche dell’abbandono?
“Nei primi due, tre anni si nota come siano i maschi a lasciare di più la pallavolo. Dopo sei, sette anni, con la maggiore età, questo dato s’inverte, gli uomini proseguono più a lungo l’attività sportiva”. Una riflessione sul primo anno e i giovanissimi: hanno abbandonato moltissimi bambini e bambine sotto i dieci anni, vuoi perché la pallavolo non ha risposto alle loro aspettative e/o esigenze, vuoi perché in quella fascia di età si dovrebbe proporre più ‘Gioco-Sport’ che non una singola disciplina”.
C’è un riscontro in termini territoriali?
“Si, certamente, al sud l’abbandono è più alto, mentre il Nord-Est è la zona più virtuosa. L’abbandono è un termometro micidiale, dimostra quante difficoltà ci siano da parte del nostro sistema nel poter offrire sostegno ai giovani in una fase delicata della vita. Ad abbandonare di più sono quelli di origine straniera, anche se italiani a tutti gli effetti, oggi una risorsa importante per il movimento nazionale, sia maschile che femminile. Tutto lascia pensare che sia per problemi economici”.
Con la ricerca ISTAT ha fatto valutazioni anche su altre fasce d’età.
“Dai dati ISTAT, anche quelli più recenti, emerge che negli ultimi venti anni è aumentata in maniera esponenziale la pratica sportiva dei bambini dai 3 anni in su, pensate che fino al 1995 nel questionario non si faceva alcun riferimento ai bambini in età inferiore ai 6 anni. Maschi e femmine indistintamente, i primi vanno molto su calcio e nuoto, mentre le bimbe, che in questa fascia di età sono numericamente di più, si dedicano oltre al nuoto, alla ginnastica ritmica e alla danza. Una spinta straordinaria, che porta ad avere il culmine della partecipazione fino ai 13, 14 anni, poi si assiste ad una graduale diminuzione della pratica sportiva”.
Cosa succede esattamente?
“Coincide con l’inizio della scuola superiore, una tragedia in termini di abbandono. Se rapportiamo questi dati alle generazioni precedenti il risultato è incredibile: prima quella era l’età in cui più o meno si cominciava, dopo che i giovani erano cresciuti per strada. Si inizia come abbiamo detto molto presto, ma si smette prima, basti pensare che a 18 anni in Italia quasi il 30% dei ragazzi (specialmente le ragazze) è sedentario, non pratica alcuna attività, mentre quelli che praticano con continuità (almeno 2 volte a settimana) sono la metà dei maschi e un terzo delle donne.”
Qual è la sua idea al riguardo?
“Entrano in gioco diversi stili di vita: non solo il motorino, la discoteca, ma anche l’alcol, il fumo, la cattiva alimentazione. La recente indagine dell’I.S.S. (Hbsc Italia: Health Behaviour in School-aged Children, presentata il 1 ottobre 2019) è stata chiara a tal proposito: nella fascia di età 11-15 anni il 16% dei giovani è in sovrappeso e il 3.2% obeso (M>F), a 15 anni le ragazze che fumano sono il 32.0%, i maschi qui le seguono con 25.0%. ma si rifanno con l’alcool, con il 43.0% dei maschi che ha sperimentato il “Binge Drinking” (ovvero l’assunzione di 5 e più bicchieri di superalcolici in un’unica occasione), ma le ragazze non stanno a guardare, per loro il 37.0%, il tutto nel quadro di una alimentazione poco in linea con i suggerimenti internazionali (una percentuale tra il 20 e il 30% ad es. non fa colazione la mattina), per non parlare di altri aspetti sempre più preoccupanti”.
Si riferisce alle droghe pesanti?
“Certo anche a quelle. Quando si superano gli argini, è più facile poi purtroppo avventurarsi anche nel mondo delle sostanze illegali. Ma mi riferisco a nuovi avversari, come ad esempio il gioco d’azzardo: sempre secondo l’indagine dell’I.S.S., il 62% dei giovani 15enni maschi ha scommesso una somma di denaro tramite lo smartphone, contro il 23% delle ragazze, e si parla di un 16% di giovani che ha commesso piccoli furti per recuperare i soldi persi con le scommesse. Lo sport professionistico non è innocente su questo tema, perché queste scommesse riguardano proprio le competizioni sportive di tutti i tipi. Ciò ci porta a dover prima o poi affrontare seriamente il tema dei social e la loro sempre maggiore importanza nella vita dei giovani. Per il momento ci limitiamo a dire che lo sport per i giovani non rappresenta più un aspetto prioritario della loro vita, la tendenza dice che alcuni riprendono a fare sport in età adulta, ma il dramma è che abbiamo perso tanti ragazzi, magari alcuni dei talenti. Gli uomini giocano per lo più a calcetto con gli amici, oppure la palestra, le donne la palestra e il ballo, moltissimi scoprono la bellezza della corsa all’aperto nei parchi”.
Come si argina l’abbandono?
“Le singole Federazioni dovrebbero fare un’analisi critica di quello che si insegna nelle società ai più giovani, parlo di scuole calcio, pallavolo, basket, atletica leggera, nuoto e così via. Oggi si dà una grande importanza alla fisicità, ormai fondamentale in ogni disciplina, e si va troppo spesso alla ricerca dei talenti”.
Cosa si potrebbe fare?
“Bisogna interrogarci sul concetto di ‘selezione precoce’. Dobbiamo dare la possibilità mezzi fisici fenomenali di divertirsi, di fare campionati di tutti i tipi, da quelli provinciali a quelli nazionali, e di contribuire a fare sport federale. Non dobbiamo accontentarci dicendo che lo sport fa bene, dobbiamo organizzarci e lavorare sulle criticità. Anche il calcio deve fare la sua parte: per restare nel Lazio, il Comitato deve dare il via alla riforma dei campionati giovanili, almeno quelli sotto i 16 anni, partendo dalle proposte già fatte, tra cui quella della sezione calcio della mia società, la “G.Castello”, nella direzione di andare incontro alle società per far giocare di più i giovani, ridurre i costi, programmare i campionati in due-tre fasi con squadre omogenee, eliminare promozioni e retrocessioni. Ma su questo aspetto dobbiamo ritornare dati alla mano”.
Come trovare nuove soluzioni?
“Lo sport è principalmente un fattore sociale, poi tecnico, con tutte le competizioni agonistiche. Nel momento in cui c’è unità di questi due fattori abbiamo giovani in salute e felici e campioni che ci fanno sognare. Al contrario perdiamo molti ragazzi. Ho realizzato un altro libro che analizza il campionato della Superlega di volley maschile: nella passata stagione tra i 24 schiacciatori che hanno fatto più punti nella fase dei play off del torneo, ci sono solo 2 italiani (Zaytsev e Juantorena), venti anni fa era il contrario. Sia chiaro gli stranieri contribuiscono in modo determinante alla bellezza del campionato, però se penso che qui sono nati giocatori come Zorzi, Lucchetta, Gardini, Bernardi, Giani, ecc, ossia la ‘Generazione di fenomeni’ che ci ha portato al Dream Team e a tante vittorie in campo internazionale…”.
Con questa crisi economico-sanitaria quanto aumenta il rischio di abbandono?
“Se non arriverà un segnale le perdite saranno altissime e saranno soprattutto società sportive e tesserati di campionati intermedi, non delle massime competizioni dove gli interessi sono diversi. Sono quasi tre mesi che i centri sono chiusi, con il rischio che non si riparta neanche a settembre, vanno trovate soluzioni per riaprire. Alcune Federazioni si stanno muovendo per andare incontro ai club, nel calcio non è ancora stato deciso nulla”.
Non pensa che pur riaprendo le famiglie non porterebbero i loro figli per paura del contagio?
“Certamente, per questo le Istituzioni devono mandare un segnale forte. I club al momento sono lasciati soli a comprendere che sarà del loro futuro, tra sanificazioni, uso degli spogliatoi, termoscanner… Non è pensabile che ce la facciano da soli, anche perché non ci sono gli strumenti né i fondi per affrontare queste spese. Va studiato un piano organizzativo, con CONI, comuni e scuole, magari ragionando anche sulla ricerca di aziende da parte delle istituzioni che offrano questi servizi a prezzi prestabiliti e con la partecipazione pubblica. Non possiamo sostituirci allo Stato, anche perché poi entrerebbe in gioco la responsabilità giuridica, ma la colpa è del virus, non dei club. Così tutti hanno paura e nessuno vuole riaprire”.
Quindi?
“Bisogna riaprire scuole e centri sportivi subito, almeno i bambini sarebbero in un luogo organizzato per prevenire il contagio, verrebbero controllati da un medico, dai nostri tecnici e dirigenti, ed educati ad avere un atteggiamento corretto davanti all’emergenza sanitaria, a casa o per strada penso sia più pericoloso. In questa Fase 2 l’azione più importante è il monitoraggio del contagio, di certo non si può pensare che tutta la responsabilità ricada sulle società, ma ce ne sono 70 mila che possono svolgere un ruolo attivo di controllo dell’epidemia, questa potrebbe essere la tanto auspicata svolta del mondo sportivo, quella che potrebbe trasformare la crisi in opportunità”.
Quindi i fondi andrebbero destinati per le misure utili alla ripartenza?
“Si, così si aiuterebbe il Paese a rispondere al virus, non solo continuare a subirlo. Parliamoci chiaro, se a settembre non riaprissero le scuole e i centri sportivi sarebbe un dramma”.
Questo virus ha messo in risalto secondo lei la fragilità del sistema dello sport di base italiano?
“Tante discipline hanno entrate che permettono a malapena l’organizzazione dei campionati: sono venuti meno gli aiuti del CONI Provinciale (che non c’è più) e del CONI Regionale, allo stesso modo sono diminuiti, se non scomparsi, gli aiuti di Municipi, Comuni, Province e Regioni. Tutti questi aiuti sono praticamente spariti, oggi si può far conto sull’amico che ti dà qualche migliaia di euro per comprare le divise e su qualche raro sponsor. Il virus, sicuramente aggressivo come abbiamo potuto constatare, ha messo in moto le lacune di questo sistema, non solo sportivo. In questa regione non ci sono ancora nemmeno le mascherine per la popolazione”.
Non è soddisfatto dell’operato istituzionale finora?
“Il Ministro Spadafora ha messo in piedi una grande iniziativa con l’indennità ai collaboratori, però non ha ancora pensato alle società sportive, penso che sia quello l’intervento più importante per salvare lo sport. Attualmente siamo fermi a zero contributi da diversi anni: dopo questa crisi tanti club saranno sul lastrico, qualcuno ci penserà veramente? Serve liquidità a fondo perduto, soprattutto per le realtà più piccole, sulla base del lavoro fatto peri i giovani e lo sport. Negli ultimi anni quasi tutte le Federazioni hanno visto diminuire sensibilmente il numero di società affiliate, ma nessuno se ne è preoccupato più di tanto!”.
Anche perché la loro perdita sarebbe un danno sociale ancora più grande.
“I giovani rischiano di andare sempre più verso il fumo, l’alcol, la sedentarietà e altri rischi come abbiamo visto. Oggi bere alcolici e fumare sigarette è già normalità per ragazzi e ragazze di 13 anni. Se perdiamo anche lo sport il dato statistico aumenterebbe inevitabilmente, con il paradosso che poi si spenderebbero miliardi per curarli e recuperarli.”